PROCESSO ETERNIT: UDIENZA DEL 12 APRILE
La seduta odierna si apre alle ore 9:30, davanti ad un folto pubblico in massima parte rappresentato da cittadini di Casale Monferrato qui giunti con tre autobus.
Prima di iniziare la sfilata dei testimoni, il giudice Giuseppe Casalbore dà lettura del dispositivo riguardante la ammissione delle prove documentali e quelle dichiarative presentate la scorsa udienza: in merito alle prime vengono fatte entrare tutte nel dibattimento, tranne una che resta in sospeso perché oggetto di un quesito legale rivolto al ministero, mentre per quanto concerne le seconde - a fronte di 9.841 richieste di audizione, tra testimoni e consulenti tecnici di parte - la Corte ritiene congruo ammettere per ogni parte due testimoni e due consulenti tecnici per ogni capitolo di prova.
Inoltre rigetta la pretesa della difesa di sentire tutte le parti, data la inutilità e la sovrabbondanza di molte prove che potrebbero essere così raccolte; un brutto colpo per chi vorrebbe portare il dibattimento alle calende greche.
Subito dopo inizia realmente la fase dibattimentale, con la audizione della dottoressa Pezzotti - consulente informatico del pm Raffaele Guariniello - che illustra alcune diapositive che mostrano lo sviluppo nel tempo degli stabilimenti di Casale Monferrato e di Cavagnolo.
Conclusa la deposizione, alle ore 11:00, la udienza viene sospesa per venti minuti, per poi riprendere con lo interrogatorio fiume (tre ore e mezza, e ancora manca il controinterrogatorio della difesa!) del signor Pondrano, ex lavoratore di Casale Monferrato dal 1974 al 1979 nel reparto della Eterplast, successivamente distaccato all'ufficio vertenze della Cgil fino al 2008, anno in cui è andato in pensione.
Questi fa alcune affermazioni decisamente interessanti, proviamo ad elencarne alcune.
Nel suo reparto non si lavorava direttamente lo amianto, ma veniva comunque lì portato attraverso le tute da lavoro, visto che i dipendenti venivano spesso spostati di reparto per "esigenze produttive"; inoltre gli stessi indumenti venivano portati a casa dove venivano lavati il sabato mattina, visto che la azienda non aveva alcun servizio in tal senso.
Capitava spesso, anche tre volte alla settimana, che si intasassero i tubi con dentro la polvere: in quelle occasioni, per liberarli, occorreva farlo con le mani; nel frattempo, però, il reparto si riempiva di polvere assai di più che in condizioni "normali" (che già vedevano lo ambiente di lavoro carico di polveri).
Quando si dovevano fare le pulizie, esse venivano effettuate, fino al 1977, esclusivamente con una ramazza da due dipendenti invalidi: dal 1978 si era aggiunta alla "dotazione" una motoscopa, ma solo dopo ripetute richieste da parte del Consiglio di fabbrica; questa però, non potendo raggiungere alcuni anfratti, serviva a poco: il lavoro manuale era ancora assai necessario.
Sempre per quanto concerne le pulizie, va aggiunto che - in occasione della visita degli "svizzeri" - i capi davano ordine di pulire a fondo per rendere idoneo lo stabilimento a riceverne la visita.
Tutto questo naturalmente avveniva nella più totale assenza di dispositivi di protezione individuale, ed in base a questo si comprende facilmente il fatto che - come fu ammesso, naturalmente oralmente, al Pondrano dal direttore del Servizio igiene lavoro della azienda, dottor Bontempelli - la azienda fosse a conoscenza della esistenza del nesso di causalità tra la esposizione allo amianto e la asbestosi nonché il tumore ai polmoni, nutrendo dei dubbi soltanto circa la correlazione tra l'amianto e il mesotelioma della pleura.
In base a quanto fin qui espresso, non possiamo altro che fare un paragone con lo altro grande processo in corso a Torino; affermiamo con convinzione, e senza alcun tema di smentite, che i padroni sono tutti uguali: alla base di tutto c'è la continua ricerca del massimo profitto, della salute dei lavoratori non gliene frega niente.
Torino, 12 aprile 2010
Stefano Ghio - Rete sicurezza Torino