SULLE COOPERATIVE
articolo di Marco Sacchi per www.guardareavanti.info, aprile 2009
La cooperazione: da mutualità ad “impresa sociale”, dietro questo concetto c'è la falsificazione del concetto di né stato né mercato, in realtà è tutto una copertura per un'organizzazione economica flessibile basata su motivazione, emulazione ed efficienza.
Tutto ebbe inizio con la rivoluzione industriale del XVIII° secolo, essa comportò lo sviluppo della forza produttiva del lavoro. Il macchinario usato aveva il compito di ridurre le merci più a buon mercato ed ad abbreviare quella parte della giornata lavorativa che l'operaio usa per sé stesso, per prolungare quella parte della giornata lavorativa che l'operaio dà gratuitamente al capitalista: un mezzo per aumentare la produzione di plusvalore relativo[1].
Contemporaneamente, a questo
sviluppo delle forze produttive, le condizioni di vita e di lavoro dei
proletari sono disastrose: donne e bambini anche piccolissimi sono sottoposti a un
bestiale
sfruttamento
donne e bambini anche piccolissimi sono sottoposti a un bestiale sfruttamento in fabbrica
e nei latifondi, dilaga tra le masse
Verso la metà del
XIX° secolo che si comincia a tollerare in Italia la formazione delle prime
associazioni di mutuo soccorso. Esse sono la prima forma di
all'istruzione.
E
indubbio che la mutualità volontaria presenta per il sistema sociale borghese
si diceva prima essenzialmente mutualistici e assistenziali,
perciò il curare soltanto, il
assistenziale, ma parlano anche di condizioni di
vita e lavoro. Nel 1848-49 si ebbero i
A questi primi tentativi di formare società
di resistenza, i pubblici poteri rispondono con un altalena
di permissività e repressione, con una lunga serie di limitazioni. Si richiede
che le mutue abbiano una forma interclassista, non facciano in
nessun modo politica, non raccolgano un numero eccessivo di soci, vi
facciano parte comunque i “soci onorari” (intellettuali borghesi appartenenti a
quelle che venivano definite le professioni liberali: avvocati, medici,
ingegneri e perino qualche sacerdote), che aiutano a
far quadrare i bilanci e intanto controllano la situazione.
Brevi
cenni storici sulle origini sulla cooperazione in Italia
Accanto alla mutualità e alla resistenza si cominciò ad avviare la cooperazione. In Italia la cooperazione mise radici in una situazione di contrasti e scontri di classe già aggravatisi, si presentò subito come organizzazione di lotta dei lavoratori contro gli industriali e gli agrari.
Come negli altri paesi, l'accumulazione originaria del capitale in Italia, avvenne mediante l'espropriazione in massa dei contadini. La riduzione del numero delle aziende agricole, il trasferimento degli ex contadini crearono il mercato interno. L'industria, essenzialmente manifatturiera di tipo artigianale, incominciò a ristrutturarsi con l'introduzione di macchine. Negli anni sessante e settanta del XIX° secolo, si ebbe lo sviluppo della grande produzione di fabbrica, frenato, però, dalla ristrettezza del mercato. Apparve la disoccupazione. Una parte di disoccupati trovò la una via d'uscita nell'emigrazione; un'altra, unendosi nelle cooperative.
Un'altra peculiarità del movimento cooperativo italiano consiste nel fatto che esso sorse su basi politiche e ideologiche diverse. All'inizio esso si formò e si sviluppò a opera dei circoli democratici, che concepivano le cooperative come una scuola d'iniziativa individuale, come uno strumento di collaborazione di classe.
Di pari passo si sviluppò il movimento
cooperativo cattolico, che ebbe l'appoggio delle autorità ecclesiastiche, soprattuto tra i contadini. Centro del movimento
cooperativo cattolico divenne il Veneto.
L'altro ramo del movimento cooperativo,
quello dei repubblicani si radicò nella parte centrale del paese – in
particolare nell'Emilia Romagna – soprattuto tra gli
artigiani che lo sviluppo del capitalismo mandava in rovina.
Le prime cooperative apparvero in Piemonte.
Nel 1854, per attenuare le conseguenze di una grave carestia agricola e di un
pauroso aumento del costo della vita, a Torino, città
in cui si sviluppava l'industria, fu aperto un “magazzino di previdenza”, che
divenne la prima cooperativa di consumo in Italia.
Cooperative di produzione e lavoro operavano
a Bologna (tipografi e falegnami), a Genova (calzolai e gioiellieri), a Milano
(muratori), a Napoli (tessili).
Nel 1885 la Società di mutuo soccorso
Archimede di Milano decise di unire tutte
le cooperative del paese in un'unica organizzazione. Fu lanciato un
appello, al quale risposero 200 cooperative e 130 di esse
inviarono i loro rappresentanti a
Milano. Così il 10 ottobre 1886, fu fondata la
Federazione nazionale delle cooperative, che in seguito cambio nome e divenne
la Lega nazionale delle cooperative e mutue (Lncm).
Nel 1919, sotto l'egida del Vaticano, fu
creata un'organizzazione nazionale per le cooperative cattoliche.
Con la formazione, nel 1892, del Partito dei
lavoratori italiani (in seguito Partito socialista italiano), la cooperazione di orientamento socialista divenne la base del movimento
cooperativo si per numero delle società organizzate sia per l'influenza
politica esercitata nel paese.
All'interno del PSI
ci fu una polemica ininterrotta, tra coloro che accusavano la cooperazione di
coprire gli interessi dei capitalisti e quelli che vedevano nella cooperazione
gli embrioni del nuovo orientamento sociale, i germogli del socialismo.
Nel 1921, alla vigilia dell'instaurazione
della dittatura fascista, la principale organizzazione – la Lega nazionale
delle cooperative – contava 8.200; la Confederazione delle cooperative 7.500;
la terza organizzazione – quella di orientamento
repubblicano – 4.000 cooperative. Inoltre esistevano
molte società che non facevano parte di nessun centro nazionale. In base a dati ufficiali, nel paese esistevano
complessivamente 25.000 cooperative.
Il fascismo giungendo al potere assestò i
primi duri colpi alle organizzazioni operaie e alle cooperative che a queste
erano strettamente legate. Le squadracce in camicia nera devastarono e
incendiavano le cooperative. I beni venivano in aste truccate dai sostenitori
del regime. Alla testa delle cooperative sopravvissute furono posti sostenitori
del regime.
La Lega delle cooperative fu
sciolta nel 1925 e nel 1926 il movimento
cooperativo fu distrutto giuridicamente. Fu creata la Direzione
nazionale fascista della cooperazione.
Nel 1945 lo sviluppo del movimento
cooperativo ebbe essenzialmente come rifermento la Lega nazionale delle cooperative e mutue. Alla Lega
fanno parte la maggior parte le maggiori società e
aziende che operano in vari settori dell'economia in tutto il territorio
nazionale. Spetta alla Lega la parte preponderante nel
commercio cooperativo, incluso quello con l'estero, la Lega si è conquista
una stabile posizione nel mercato internazionale.
La
cooperazione da mutualità a “impresa sociale”.
Per quanto riguarda la legislazione sulle
cooperative, il parlamento approva la legge Basevi
(14 dicembre 1947) che, con le successive modificazioni formalizza la
costituzione delle cooperative e regola i loro comportamenti economici sul
mercato, ma impone ad esse delle restrizioni e vieta
la distribuzione dei dividendi in maniera superiore superiore
agli corsi obbligazionari correnti e la distribuzione delle riserve i soci.
La Lega delle cooperative, sotto l'influenza
togliattiana, viene
concepita come “scuola di socialismo” in connessione con l'attività del PCI.
Il progetto economico che muoveva queste
“aziende capitalistiche collettive” era quello di collegare gli interessi della classe
operaia a quella dei ceti medi produttivi, in coesistenza
e in concorrenza con le imprese pubbliche e private.
Al XXIV Congresso
della Lega, l'allora presidente Giulio Cerretti parlò
di un ampio fronte degli alleati e dei partner della cooperazione che non si
militasse agli operai, ma si allargasse ai piccoli e medi imprenditori e ai commercianti.
La finalità era la trasformazione graduale
in senso riformista del modello economico e sociale italiano: concretamente le
cooperative aggirano come soggetti più flessibili, più economici e più
efficienti, integrati con leggi di mercato stabilite dalle imprese pubbliche e
private, in base alle regole del credito e del sistema finanziario di un
capitalismo dove la produzione e concorrenza tra capitali su scala mondiale.
L'oggetto sociale delle imprese cooperative
era prevalentemente l'agricoltura, la distribuzione delle merci, l'edilizia, i
servizi e le prestazioni di lavoro.
Esse, dagli
sessanta, iniziano a investire in settori commerciali e in aree geografiche
specifiche, integrando e coordinando la rete delle loro imprese e delle loro
risorse, anche a seguito dei nuovi rapporti politici venutosi a creare dopo il
primo governo di centro-sinistra. Dal 1963 al 1967, anche per la favorevole
congiuntura governativa determinata dalla presenza del
PSI all'interno del governo nazionale, le cooperative di produzione e lavoro, i
consorzi agricoli e di consumo, garantiscono l'occupazione a 1.723.764
soci-lavoratori e sviluppano un giro di affari di 619 miliardi di lire.
Negli anni '70, per la forma organizzativa
adattabile (gruppi di lavoro flessibili, motivati, solidali e con un conflitto
controllato) e con un costo di lavoro contenuto, dovuto a
agevolazioni contributive e a vantaggi
fiscali sull'imposta sui redditi, si ampliano le attività delle imprese
consorziate con la Lega delle cooperative per i grandi lavori pubblici, mentre
iniziano a consolidarsi le relazioni commerciali e le intermediazioni a favore
delle imprese italiane pubbliche e private verso i paesi dell'Europa dell'est[2] .
La Lega teorizza la partecipazione dei
soci-lavoratori alla gestione delle attività sociali, alla definizione degli
obiettivi economici e alla ripartizione degli utili.
Nel dibattito di quegli anni alcuni
dirigenti della Lega osservano lo sviluppo di comportamenti non più
mutualistici presso varie imprese associate, ormai orientate all'efficienza produttiva e al risultato economico, che
escludono dai processi decisionali i soci-lavoratori, applicando i criteri
della divisione del lavoro come qualunque impresa capitalistica.
Di fatto le imprese cooperative si impongono come concorrenti e/o si offrono come terziste alle società private e pubbliche, in particolare
nel settore dei servizi e delle infrastrutture, occupando il cosiddetto “terzo
settore” produttivo, a fianco delle aziende di stato e private e con esse
integrate nel sistema economico nazionale, condividendone il modello di
accumulazione capitalistico.
Alla Conferenza nazionale delle
cooperazione del 1977, che ribadisce il ruolo istituzionale e
l'indirizzo imprenditoriale delle imprese cooperative, l'allora presidente del
consiglio G. Andreotti interviene a quel convegno e
dice che: “La cooperazione è un fenomeno vivo. In 25 anni le cooperative sono
passate da 14.000 a 64.000... In una società lamenta l'alto
costo del denaro, una presenza maggiore delle Casse di Credito cooperativo
sarebbe certo giovevole” (Storia della cooperazione – Einaudi – 1987 – pag. 791).
Le cooperative che ricevono il
riconoscimento e il plauso delle istituzioni, affinano la propria
organizzazione, strutturandosi in holdings,
distinte per tipologia di servizi e di produzione, privilegiando la la strategia della competizione e della verticalizzazione
del comando d'impresa, allontanandosi dai principi
comunistici
e ideali, che avevano ispirato una parte della storia della cooperazione.
Le società cooperative, in particolare
quelle del lavoro e di servizi si intermodulano con le imprese private e dello stato, offrendo ad esse prestazioni a
costi contenuti e manodopera più docile e adattabile, più efficiente e
produttiva.
L'organizzazione dell'impresa cooperativa
assume i modelli dei tempi e dei metodi dell'impresa capitalista, facendo
valere le regole del profitto e
del comando d'impresa sui soci-lavoratori, ormai regolati da obblighi del tutto
simili a quelle dei lavoratori subordinati: mentre le strategie dei singoli
dipartimenti e delle varie aziende vengono
prestabilite dalla direzione della Lega, al fine di garantire competitività sui
mercati nazionali e internazionali.
L'introduzione di tecniche a base
informatica, l'automazione della produzione e la riorganizzazione
della forza-lavoro all'interno delle aziende, il ricorso da parte delle imprese
ad appalti esterni, per taluni segmenti di produzione e di servizi, introducono
elementi di conflitto tra lavoratori, le loro organizzazioni sindacali e le
cooperative, le quali partecipano a queste ristrutturazioni dell'organizzazione del lavoro, con i propri
soci-lavoratori, più economici e più elastici.
La
Lega comprende, sin dagli inizi degli anni '80, le trasformazioni dei processi di accumulazioni e coglie il corso della cosiddetta
terziarizzazione, ovvero l'estromissione dalle grandi aziende di settori di
produzione e/o di gestione, le cui attività sono poi reintrodotte come appalti
di somministrazione di beni e servizi mediante contratti con imprese,
microimprese e cooperative.
La Lega usufruisce di una posizione
privilegiata di osservazione, sia come soggetto
imprenditore integrato nei rapporti di produzione vigenti, sia come
associazione connessa al movimento sindacale e ai partiti di sinistra, che
leggono e interpretano i mutamenti in corso.
In più, oltre all'incremento delle
partecipazioni ai grandi appalti pubblici il movimento cooperativo è il luogo
di sperimentazione di nuovi modelli di impresa e
contrattazione con il sindacato e di relazioni tra le controparti.
Dal 1993, sia per le trasformazioni e la
riorganizzazione del sistema di produzione, sia a seguito delle inchieste della
Magistratura sui lavori commissionati dallo Stato, dalle aziende pubbliche,
dalle amministrazioni locali, come sulle altre società (Italimpresit-Fiat,
FF.SS., sistemi di
depurazione consortili delle acque, centri commerciali ecc.), che ha portato a
una forte riduzione della spesa pubblica e dei costi negli appalti, da parte soprattuto da parte delle amministrazioni locali in crisi
di liquidità.
Anche a seguito a
mutamenti sostanziali del quadro legislativo di quegli anni, che norma le
finalità economiche delle imprese mutualistiche, le cooperative si configurano
sempre di più in aziende tese al raggiungimento del profitto.
Infatti, la legge 72 del 119 marzo 1983
permette che le cooperative possano “costituire o partecipare a società di
capitali” e, soprattuto, la legge 59/1992 garantisce
loro di conseguire obbiettivi di lucro, come
l'elevamento delle quote azionarie per socio e l'introduzione del socio
sovventore e del socio titolare di azioni (questi due nuovi soggetti non sono
vincolati a partecipare all'attività solidaristica
della cooperativa mediante lavoro proprio, ma usufruiscono di remunerazione
esclusivamente per le quote di capitale da loro investito).
La Lega delle Cooperative ha riposto le
proprie aspettative in nuovi mercati del lavoro, secondo
quanto stabilito dall'accodo del luglio 1993 tra sindacati confederali, Confindustria e Governo in materia di lavoro interinale.
Nel giugno del 1995, la Lega delle
Cooperative propone un progetto per la costituzione di un'Agenzia Nazionale che
assicuri alle imprese la fornitura di lavoro temporaneo, e sollecita il
legislatore, i partiti e il sindacato che le attuali norme italiane (in
particolare la disapplicata e l'interposizione
illecita di manodopera, contro il vecchio e nuovo caporalato) vengano abolite, al fine di proporre nuove regole per un
mercato di lavoro liberalizzato e conseguentemente intervenire come
imprenditore della forza-lavoro a prestito.
Il giro di affari
previsto è interessante, anche partendo dal fatto che l'Italia ha sempre avuto
un ampio mercato sommerso di lavoro irregolare, a cui le imprese già da anni
hanno sempre attinto.
Nel giugno 1996, presso la società di mutuo
soccorso dei ferrovieri milanesi, viene formalmente
presentata alla presidenza della Lega delle Cooperative della Lombardia,
l'agenzia nazionale di collocamento privato Obiettivo Lavoro s.r.l., che ambisce di coniugare solidarietà e
competizione, nel pieno rispetto delle regole del mercato capitalistico.
L'obiettivo è di essere dentro il nuovo
business del mercato del lavoro con fini lucrativi e fuoriuscire dalle nicchie
in cui si erano fino ad allora collocate le imprese
cooperative, costituire un network di offerta su scala nazionale.
Questa
impresa fruisce delle sinergie con il movimento cooperativo e sindacale
confederale[3] , le cui conoscenze permettono ad essa di elaborare
analisi più adeguate sui fabbisogni di lavoro temporaneo per società
cooperative, imprese private ed enti pubblici e offrire a questi soggetti una
consulenza che sappia selezionare la forza-lavoro la più adeguata, modulabile
sulle necessità temporanee e di localizzazione, e rispondere all'organizzazione
produttiva di destinazione.
Obiettivo lavoro ha come scopo favorire la
flessibilità richiesta dalle imprese, che incontrano le resistenze dei propri
lavoratori ad applicare forme duttili di sfruttamento del lavoro: poiché la
flessibilità, la modularità, la temporalità (sostituzioni, incrementi del
mercato, gestione plasmabile del personale, ecc.) sono
imperative categorici per le imprese ... e incubi per i lavoratori.
Saranno i soggetti deboli dal punto di vista
della propria forza contrattuale (lavoratori in mobilità, disoccupati
temporanei e cronici, giovani alla ricerca di una prima occupazione,
casalinghe, studenti, immigrati ecc.) a costituire la massa fluttuante di
lavoratori utilizzabili da Obiettivo Lavoro (e delle altre agenzie di lavoro
interinale), per essere integrati nel sistema delle imprese che hanno avviato
processi di esternalizzazione
e di alleggerimento dei propri organici.
Ovviamente la Lega delle Cooperative non è
la sola ad essere rimasta affascinata dal giro di affari
che produce l'intermediazione del lavoro temporaneo. Anche la Compagnia delle
Opere (che raggruppa le attività economiche di CL) con le sue molteplici
imprese cooperative, che attirano l'attenzione di alcuni
istituti di credito, si è da tempo buttato in questo affare.
Impresa sociale?
Le cooperative si definiscono imprese
“sociali” in quanto la partecipazione a esse, dovrebbe
garantire a tutti i suoi partecipanti una contribuzione non solo economica, ma
un beneficio etico, il cui fine è un lavoro socialmente utile e la equa
ripartizione delle opportunità del lavoro elastico e flessibile e del reinvestimento degli utili, con un superamento del
conflitto e il coinvolgimento collettivo nella missione dell'impresa.
La
costituzione di collocamenti privati di forza-lavoro (a fianco delle
operazioni di smantellamento dello Stato “sociale”[4] quale la sanità, l'assistenza agli anziani, il recupero dei
tossicodipendenti, la previdenza integrativa concessa alle assicurazioni
private, tra cui anche l'UNIPOL[5] ) questo processo introduce servizi a pagamento e conduce a una forte deresponsabilizzazione
delle funzioni pubbliche al di fuori del campo di controllo
dell'amministrazione statale, in un'area privata fortemente esposta a
orientamenti particolaristici e all'influenza dei partiti politici e del
clientelismo.
Questo depotenziamento del welfare state, non solo
rappresenta un vantaggio economico per la pubblica amministrazione che espelle
così forza-lavoro e offre opportunità ai vari soggetti economici privati (in
Regione Lombardia cooperative si sono inserite a fornire i servizi di
portineria, del centralino e dei servizi che svolgevano i commessi) ma fa
ricadere sull'utenza dei servizi i costi supplementari dei servizi esternalizzati e
non garantisce standard di qualità per
le eventuali prestazioni insufficienti.
La
cosiddetta impresa “non profit” è per lo Stato uno
strumento ideale per avviare i vari progetti di privatizzazione dei sevizi pubblici, alleggerire le imposizioni fiscali sui
profitti d'impresa.
Tutto questo è dentro un quadro, dove il
capitalismo nella fase post fordista, ha introdotto
nuove forme d'organizzazione del lavoro, ridimensionato fortemente le grossi aziende è utilizzato una nuova leva di forza
lavoro più mobile e più duttile.
Le cooperative di lavoro e le agenzie di
lavoro interinale che forniscono lavoro temporaneo, sono
dentro questo quadro di rottura della rigidità imposta dalla classe operaia,
che vincolava le imprese con la sua presenza conflittuale.
Le politiche concertative
governo-padronato-sindacato
confederale hanno a partire degli anni '90 introdotto hanno concorso alla
frammentazione del proletariato in differenti tipologie di prestazioni di
lavoro.
La nuova classe lavoratrice viene espulsa dai processi di produzione, delocalizzata sul territorio (appalti ad imprese terziste, telelavoro), distinta
per via legislativa tra una varietà di contratti di lavoro coesistenti (esternalizzazioni, cooperative, appalto di manodopera,
formazione lavoro, tempo determinato, part time,
interinale, autonomo ecc), sottoposta a tempi e ritmi di lavoro variabili
(flussi di produzione intermittenti, aumento della quantità delle ore), non
garantita dalle pattuizioni contrattuali e dalle leggi in materia di lavoro
(modelli organizzativi variabili, figure professionali multifunzionali, aumenti
salariali differiti e/o ridotti unilateralmente, violazione delle norme sulla
salute e sulla sicurezza ne luoghi di lavoro ecc.)
In sostanza il ruolo delle cooperative, di
queste cosiddette imprese “sociali”, è
quello di sottomettere alle esigenze del controllo del
capitale ogni interstizio e segmento produttivo.
[1] 1. Il plusvalore relativo è il plusvalore che deriva
dall'accorciamento del tempo di lavoro necessario e del corrispondente
cambiamento nel rapporto di grandezza delle due parti
costitutive della giornata lavorativa.
[2]2. L'intermediazione era fatta per conto del PCI, per
via della sua politica di sostegno delle aziende
capitaliste italiane “Più volte il
compagno Pajetta ha insistito con il compagno Zhivkov perché la Bulgaria prenda in considerazione l'idea
di approvvigionare il paese con i prodotti Fiat. Allo scopo propone la
creazione di una società mista attraverso il movimento cooperativo”
(incontro di G. Pajetta con il leader bulgaro Todor Zhivkov, 10 settembre 1977
- brano tratto dalla Stampa, 25 novembre 1991). In sostanza
facevano i piazzisti di Agnelli.
La cosa è confermata
anche dai contatti amicali verificati dal compagno Dorigo tra il 2000 e il
2001, tra il comandante partigiano Franco Berlanda e
Giovanni Agnelli. Franco Berlanda, architetto e
militante del PCI, si era iscritto da giovane nel 1943, ed era (sino al
cambiamento del nome della tessera del Pci in Pds, allorquando non si iscrisse
più) un togliattiano convinto ed un convinto
assertore della bontà della cosiddetta “destalinizzazione”.
Fu poi un migliorista negli anni ’80, ma di seconda fila. I rapporti tra il “Gotha”
del PCI torinese ed i grandi industriali rientravano in una logica politica di “progresso
pacifico” che doveva impedire e svilire ogni tentativo di “vietnamizzazione”
italiana (termine per loro spregiativo con cui si intendeva
la possibilità di una guerra civile rivoluzionaria). Il compagno Dorigo conobbe
il Franco Berlanda in ambito familiare dato che il Berlanda lavorava presso l’Università di Venezia ed aveva
quindi conosciuto i suoi genitori, e gli chiese nel 2001 un aiuto di tipo
legale mentre era in carcere, dato che le autorità
carcerarie e giudiziarie gli vietavano di dare la propria tutela ad una
compagna all’esterno. Venne così a trovarlo e gli portò, su sua richiesta,
vecchi testi del marxismo-leninismo. In uno di questi testi, c’era il nome ed
il numero di telefono di casa di Giovanni Agnelli.
[3] 3. Soci fondatori di Obiettivo
Lavoro sono in primis le tre grandi filiere della cosiddetta economia “sociale”:
Legacoop come si diceva prima,, Compagnia delle
Opere (che raggruppa le imprese che fanno riferimento a CL), Confcooperative (cooperative cattoliche); insieme ad esse Cisl, Uil e numerosi altri
soggetti tra i quali Confederazione Nazionale dell'Artigianato, Confesercenti, le Ascom di Confcommercio (le Acli si
aggiungeranno poi nel 2000). Il primo presidente del consiglio di amministrazione è
stato Giuseppe Cova ex segretario della Federazione Nazionale dello
Spettacolo CGIL.
[4] 4. Metto sociale tra virgolette, in quanto lo Stato borghese
avendo come classe dominante la borghesia appunto non può essere sociale.
Le riforme in realtà sono un sottoprodotto della lotta rivoluzionaria del
proletariato.
[5]
5. CGIL-CISL-UIL, sono
presenti nell'UNIPOL, che “gestisce 16 mandati sui 43 fondi collettivi che risultavano autorizzati dalla Covip
al 30 giugno dello scorso anno” (IlSole24ore,
09.01.2007).