SULLE COOPERATIVE

articolo di Marco Sacchi per www.guardareavanti.info, aprile 2009

 

   La cooperazione: da mutualità ad “impresa sociale”, dietro questo concetto c'è  la falsificazione  del concetto di né stato né mercato, in realtà è tutto una copertura per  un'organizzazione economica flessibile basata su motivazione, emulazione ed efficienza.

   Tutto ebbe inizio con la rivoluzione industriale del XVIII° secolo, essa comportò lo sviluppo della forza produttiva del lavoro. Il macchinario usato aveva il compito di ridurre le merci più a buon mercato ed ad abbreviare quella parte della giornata lavorativa che l'operaio usa per sé stesso, per prolungare quella parte della giornata lavorativa che l'operaio dà gratuitamente al capitalista: un mezzo per aumentare la produzione di plusvalore relativo[1].

   Contemporaneamente, a questo sviluppo delle forze produttive, le condizioni di vita e di lavoro dei proletari sono disastrose: donne e bambini anche piccolissimi sono sottoposti a un bestiale  sfruttamento donne e bambini anche piccolissimi sono sottoposti a un bestiale sfruttamento in fabbrica e nei latifondi, dilaga tra le masse popolari il triplice flagello della malaria, della pellagra e della tubercolosi, anch'esse provocate e aggravate dalla rivoluzione industriale e dal costante processo di urbanizzazione.

   Verso la metà del XIX° secolo che si comincia a tollerare in Italia la formazione delle prime associazioni di mutuo soccorso. Esse sono la prima forma di organizzazione operaia moderna. Il loro compito istituzionale è l'assistenza esercitata per mezzo della solidarietà (i soci versano una quota e ricevono un sussidio di invalidità)2 ma la loro attività si estende anche all'assistenza morale, all'educazione ed

all'istruzione.

E indubbio che la mutualità volontaria presenta per il sistema sociale borghese vantaggi di cui la borghesia liberale non tarda ad accorgersi. Essa incita al risparmio, alla temperanza e all'affezione al lavoro. La società di mutuo soccorso, a scopi come

si diceva prima essenzialmente mutualistici e assistenziali, perciò il curare soltanto, il riparare la forza lavoro. La cura serve a restituire la forza lavoro danneggiata al quell'uso che il capitale deve farne. Ma, nonostante questo, la società di mutuo soccorso, si distingue nettamente da ogni istituzione assistenziale di tipo tradizionale, anzitutto per il suo carattere associativo, nel quale si afferma il principio con il quale i lavoratori possono elevare le loro condizioni morali e materiali con le loro stesse forze unite e solidali,  il secondo motivo è per il loto carattere prevalentemente laico. E i lavoratori di queste associazioni non si limitano a curarsi le malattie e fare attività

assistenziale, ma parlano anche di condizioni di vita e lavoro. Nel 1848-49 si ebbero i primi tentativi di costituire società di resistenza, cioè di difesa contro i padroni e per esercitare lo sciopero.

   A questi primi tentativi di formare società di resistenza, i pubblici poteri rispondono con un altalena di permissività e repressione, con una lunga serie di limitazioni. Si richiede che le mutue abbiano una forma interclassista, non facciano in nessun modo politica, non raccolgano un numero eccessivo di soci, vi facciano parte comunque i “soci onorari” (intellettuali borghesi appartenenti a quelle che venivano definite le professioni liberali: avvocati, medici, ingegneri e perino qualche sacerdote), che aiutano a far quadrare i bilanci e intanto controllano la situazione.

 

Brevi cenni storici sulle origini sulla cooperazione in Italia

 

  Accanto alla mutualità e alla resistenza si cominciò ad avviare la cooperazione. In Italia la cooperazione mise radici in una situazione di contrasti e scontri di classe già aggravatisi, si presentò subito come organizzazione di lotta dei lavoratori contro gli industriali e gli agrari.

   Come negli altri paesi, l'accumulazione originaria del capitale in Italia, avvenne mediante l'espropriazione in massa dei contadini. La riduzione del  numero delle aziende agricole, il trasferimento degli ex contadini crearono il mercato interno. L'industria, essenzialmente manifatturiera di tipo artigianale, incominciò a ristrutturarsi con l'introduzione di macchine. Negli anni sessante e settanta del XIX° secolo, si ebbe lo sviluppo della grande produzione di fabbrica, frenato, però, dalla ristrettezza del mercato. Apparve la disoccupazione. Una parte di disoccupati trovò la una via d'uscita nell'emigrazione; un'altra, unendosi nelle cooperative. 

   Un'altra peculiarità del movimento cooperativo italiano consiste nel fatto che esso sorse su basi politiche e ideologiche diverse. All'inizio esso si formò e si sviluppò a opera dei circoli democratici, che concepivano le cooperative come una scuola d'iniziativa individuale, come uno strumento di collaborazione di classe.

   Di pari passo si sviluppò il movimento cooperativo cattolico, che ebbe l'appoggio delle autorità ecclesiastiche, soprattuto tra i contadini. Centro del movimento cooperativo cattolico divenne il Veneto.

   L'altro ramo del movimento cooperativo, quello dei repubblicani si radicò nella parte centrale del paese – in particolare nell'Emilia Romagna – soprattuto tra gli artigiani che lo sviluppo del capitalismo mandava in rovina.

   Le prime cooperative apparvero in Piemonte. Nel 1854, per attenuare le conseguenze di una grave carestia agricola e di un pauroso aumento del costo della vita, a Torino, città in cui si sviluppava l'industria, fu aperto un “magazzino di previdenza”, che divenne la prima cooperativa di consumo in Italia.

   Cooperative di produzione e lavoro operavano a Bologna (tipografi e falegnami), a Genova (calzolai e gioiellieri), a Milano (muratori), a Napoli (tessili).

   Nel 1885 la Società di mutuo soccorso Archimede di Milano decise di unire tutte  le cooperative del paese in un'unica organizzazione. Fu lanciato un appello, al quale risposero 200 cooperative e 130 di esse inviarono i loro rappresentanti a   Milano. Così il 10 ottobre 1886, fu fondata la Federazione nazionale delle cooperative, che in seguito cambio nome e divenne la Lega nazionale delle cooperative e mutue (Lncm).

   Nel 1919, sotto l'egida del Vaticano, fu creata un'organizzazione nazionale per le cooperative cattoliche.

   Con la formazione, nel 1892, del Partito dei lavoratori italiani (in seguito Partito socialista italiano), la cooperazione di orientamento socialista divenne la base del movimento cooperativo si per numero delle società organizzate sia per l'influenza politica esercitata nel paese.

   All'interno del PSI ci fu una polemica ininterrotta, tra coloro che accusavano la cooperazione di coprire gli interessi dei capitalisti e quelli che vedevano nella cooperazione gli embrioni del nuovo orientamento sociale, i germogli del socialismo.

   Nel 1921, alla vigilia dell'instaurazione della dittatura fascista, la principale organizzazione – la Lega nazionale delle cooperative – contava 8.200; la Confederazione delle cooperative 7.500; la terza organizzazione – quella di orientamento repubblicano – 4.000 cooperative. Inoltre esistevano molte società che non facevano parte di nessun centro nazionale. In base a dati ufficiali, nel paese esistevano complessivamente 25.000 cooperative.

   Il fascismo giungendo al potere assestò i primi duri colpi alle organizzazioni operaie e alle cooperative che a queste erano strettamente legate. Le squadracce in camicia nera devastarono e incendiavano le cooperative. I beni venivano in aste truccate dai sostenitori del regime. Alla testa delle cooperative sopravvissute furono posti sostenitori del regime.

   La Lega delle cooperative fu sciolta nel 1925  e nel 1926 il movimento cooperativo fu distrutto giuridicamente. Fu creata la Direzione nazionale fascista della cooperazione.

   Nel 1945 lo sviluppo del movimento cooperativo ebbe essenzialmente come rifermento la Lega nazionale delle cooperative e mutue. Alla Lega fanno parte la maggior parte le maggiori società e aziende che operano in vari settori dell'economia in tutto il territorio nazionale. Spetta alla Lega la parte preponderante nel commercio cooperativo, incluso quello con l'estero, la Lega si è conquista una stabile posizione nel mercato internazionale.

  

 

La cooperazione da mutualità a “impresa sociale”.

 

   Per quanto riguarda la legislazione sulle cooperative, il parlamento approva la legge Basevi (14 dicembre 1947) che, con le successive modificazioni formalizza la costituzione delle cooperative e regola i loro comportamenti economici sul mercato, ma impone ad esse delle restrizioni e vieta la distribuzione dei dividendi in maniera superiore superiore agli corsi obbligazionari correnti e la distribuzione delle riserve i soci.

   La Lega delle cooperative, sotto l'influenza togliattiana, viene concepita come “scuola di socialismo” in connessione con l'attività del PCI.

   Il progetto economico che muoveva queste “aziende capitalistiche collettive” era quello di collegare gli interessi della classe operaia a quella dei ceti medi produttivi, in coesistenza e in concorrenza con le imprese pubbliche e private.

   Al XXIV Congresso della Lega, l'allora presidente Giulio Cerretti parlò di un ampio fronte degli alleati e dei partner della cooperazione che non si militasse agli operai, ma si allargasse ai piccoli e medi imprenditori e  ai commercianti.

   La finalità era la trasformazione graduale in senso riformista del modello economico e sociale italiano: concretamente le cooperative aggirano come soggetti più flessibili, più economici e più efficienti, integrati con leggi di mercato stabilite dalle imprese pubbliche e private, in base alle regole del credito e del sistema finanziario di un capitalismo dove la produzione e concorrenza tra capitali su scala mondiale.

   L'oggetto sociale delle imprese cooperative era prevalentemente l'agricoltura, la distribuzione delle merci, l'edilizia, i servizi e le prestazioni di lavoro.

   Esse, dagli sessanta, iniziano a investire in settori commerciali e in aree geografiche specifiche, integrando e coordinando la rete delle loro imprese e delle loro risorse, anche a seguito dei nuovi rapporti politici venutosi a creare dopo il primo governo di centro-sinistra. Dal 1963 al 1967, anche per la favorevole congiuntura governativa determinata dalla presenza del PSI all'interno del governo nazionale, le cooperative di produzione e lavoro, i consorzi agricoli e di consumo, garantiscono l'occupazione a 1.723.764 soci-lavoratori e sviluppano un giro di affari di 619 miliardi di lire.

   Negli anni '70, per la forma organizzativa adattabile (gruppi di lavoro flessibili, motivati, solidali e con un conflitto controllato) e con un costo di lavoro contenuto, dovuto a agevolazioni contributive e  a vantaggi fiscali sull'imposta sui redditi, si ampliano le attività delle imprese consorziate con la Lega delle cooperative per i grandi lavori pubblici, mentre iniziano a consolidarsi le relazioni commerciali e le intermediazioni a favore delle imprese italiane pubbliche e private verso i paesi dell'Europa dell'est[2] .

   La Lega teorizza la partecipazione dei soci-lavoratori alla gestione delle attività sociali, alla definizione degli obiettivi economici e alla ripartizione degli utili.

   Nel dibattito di quegli anni alcuni dirigenti della Lega osservano lo sviluppo di comportamenti non più mutualistici presso varie imprese associate, ormai orientate all'efficienza produttiva e al risultato economico, che escludono dai processi decisionali i soci-lavoratori, applicando i criteri della divisione del lavoro come qualunque impresa capitalistica.

   Di fatto le imprese cooperative si impongono come concorrenti e/o si offrono come terziste alle società private e pubbliche, in particolare nel settore dei servizi e delle infrastrutture, occupando il cosiddetto “terzo settore” produttivo, a fianco delle aziende di stato e private e con esse integrate nel sistema economico nazionale, condividendone il modello di accumulazione capitalistico.

   Alla Conferenza nazionale delle cooperazione del 1977, che ribadisce il ruolo istituzionale e l'indirizzo imprenditoriale delle imprese cooperative, l'allora presidente del consiglio G. Andreotti interviene a quel convegno e dice che: “La cooperazione è un fenomeno vivo. In 25 anni le cooperative sono passate da 14.000 a 64.000... In una società lamenta l'alto costo del denaro, una presenza maggiore delle Casse di Credito cooperativo sarebbe certo giovevole” (Storia della cooperazione – Einaudi – 1987 – pag. 791).

   Le cooperative che ricevono il riconoscimento e il plauso delle istituzioni, affinano la propria organizzazione, strutturandosi in holdings, distinte per tipologia di servizi e di produzione, privilegiando la la strategia della competizione e della verticalizzazione del comando d'impresa, allontanandosi dai principi comunistici e ideali, che avevano ispirato una parte della storia della cooperazione.

   Le società cooperative, in particolare quelle del lavoro e di servizi si intermodulano con le imprese private e dello stato, offrendo ad esse prestazioni a costi contenuti e manodopera più docile e adattabile, più efficiente e produttiva.

    L'organizzazione dell'impresa cooperativa assume i modelli dei tempi e dei metodi dell'impresa capitalista, facendo valere le regole del profitto  e del comando d'impresa sui soci-lavoratori, ormai regolati da obblighi del tutto simili a quelle dei lavoratori subordinati: mentre le strategie dei singoli dipartimenti e delle varie aziende vengono prestabilite dalla direzione della Lega, al fine di garantire competitività sui mercati nazionali e internazionali. 

   L'introduzione di tecniche a base informatica, l'automazione della produzione e la riorganizzazione della forza-lavoro all'interno delle aziende, il ricorso da parte delle imprese ad appalti esterni, per taluni segmenti di produzione e di servizi, introducono elementi di conflitto tra lavoratori, le loro organizzazioni sindacali e le cooperative, le quali partecipano a queste ristrutturazioni  dell'organizzazione del lavoro, con i propri soci-lavoratori, più economici e più elastici.

   La Lega comprende, sin dagli inizi degli anni '80, le trasformazioni dei processi di accumulazioni e coglie il corso della cosiddetta terziarizzazione, ovvero l'estromissione dalle grandi aziende di settori di produzione e/o di gestione, le cui attività sono poi reintrodotte come appalti di somministrazione di beni e servizi mediante contratti con imprese, microimprese e cooperative.

   La Lega usufruisce di una posizione privilegiata di osservazione, sia come soggetto imprenditore integrato nei rapporti di produzione vigenti, sia come associazione connessa al movimento sindacale e ai partiti di sinistra, che leggono e interpretano i mutamenti in corso.

  In più, oltre all'incremento delle partecipazioni ai grandi appalti pubblici il movimento cooperativo è il luogo di sperimentazione di nuovi modelli di impresa e contrattazione con il sindacato e di relazioni tra le controparti.

   Dal 1993, sia per le trasformazioni e la riorganizzazione del sistema di produzione, sia a seguito delle inchieste della Magistratura sui lavori commissionati dallo Stato, dalle aziende pubbliche, dalle amministrazioni locali, come sulle altre società (Italimpresit-Fiat, FF.SS., sistemi di depurazione consortili delle acque, centri commerciali ecc.), che ha portato a una forte riduzione della spesa pubblica e dei costi negli appalti, da parte soprattuto da parte delle amministrazioni locali in crisi di liquidità.

   Anche a seguito a mutamenti sostanziali del quadro legislativo di quegli anni, che norma le finalità economiche delle imprese mutualistiche, le cooperative si configurano sempre di più in aziende tese al raggiungimento del profitto.

   Infatti, la legge 72 del 119 marzo 1983 permette che le cooperative possano “costituire o partecipare a società di capitali” e, soprattuto, la legge 59/1992 garantisce loro di conseguire obbiettivi di lucro, come l'elevamento delle quote azionarie per socio e l'introduzione del socio sovventore e del socio titolare di azioni (questi due nuovi soggetti non sono vincolati a partecipare all'attività solidaristica della cooperativa mediante lavoro proprio, ma usufruiscono di remunerazione esclusivamente per le quote di capitale da loro investito).

   La Lega delle Cooperative ha riposto le proprie aspettative in nuovi mercati del lavoro, secondo quanto stabilito dall'accodo del luglio 1993 tra sindacati confederali, Confindustria e Governo in materia di lavoro interinale.

   Nel giugno del 1995, la Lega delle Cooperative propone un progetto per la costituzione di un'Agenzia Nazionale che assicuri alle imprese la fornitura di lavoro temporaneo, e sollecita il legislatore, i partiti e il sindacato che le attuali norme italiane (in particolare la disapplicata e l'interposizione illecita di manodopera, contro il vecchio e nuovo caporalato) vengano abolite, al fine di proporre nuove regole per un mercato di lavoro liberalizzato e conseguentemente intervenire come imprenditore della forza-lavoro a prestito.

   Il giro di affari previsto è interessante, anche partendo dal fatto che l'Italia ha sempre avuto un ampio mercato sommerso di lavoro irregolare, a cui le imprese già da anni hanno sempre attinto.

   Nel giugno 1996, presso la società di mutuo soccorso dei ferrovieri milanesi, viene formalmente presentata alla presidenza della Lega delle Cooperative della Lombardia, l'agenzia nazionale di collocamento privato Obiettivo Lavoro s.r.l., che ambisce di coniugare solidarietà e competizione, nel pieno rispetto delle regole del mercato capitalistico.

   L'obiettivo è di essere dentro il nuovo business del mercato del lavoro con fini lucrativi e fuoriuscire dalle nicchie in cui si erano fino ad allora collocate le imprese cooperative, costituire un network di offerta su scala nazionale.

   Questa  impresa fruisce delle sinergie con il movimento cooperativo e sindacale confederale[3] , le cui conoscenze permettono ad essa di elaborare analisi più adeguate sui fabbisogni di lavoro temporaneo per società cooperative, imprese private ed enti pubblici e offrire a questi soggetti una consulenza che sappia selezionare la forza-lavoro la più adeguata, modulabile sulle necessità temporanee e di localizzazione, e rispondere all'organizzazione produttiva di destinazione.  

   Obiettivo lavoro ha come scopo favorire la flessibilità richiesta dalle imprese, che incontrano le resistenze dei propri lavoratori ad applicare forme duttili di sfruttamento del lavoro: poiché la flessibilità, la modularità, la temporalità (sostituzioni, incrementi del mercato, gestione plasmabile del personale, ecc.) sono imperative categorici per le imprese ... e incubi per i lavoratori.

   Saranno i soggetti deboli dal punto di vista della propria forza contrattuale (lavoratori in mobilità, disoccupati temporanei e cronici, giovani alla ricerca di una prima occupazione, casalinghe, studenti, immigrati ecc.) a costituire la massa fluttuante di lavoratori utilizzabili da Obiettivo Lavoro (e delle altre agenzie di lavoro interinale), per essere integrati nel sistema delle imprese che hanno avviato processi di esternalizzazione e di alleggerimento dei propri organici.

   Ovviamente la Lega delle Cooperative non è la sola ad essere rimasta affascinata dal giro di affari che produce l'intermediazione del lavoro temporaneo. Anche la Compagnia delle Opere (che raggruppa le attività economiche di CL) con le sue molteplici imprese cooperative, che attirano l'attenzione di alcuni istituti di credito, si è da tempo buttato in questo affare.

 

Impresa sociale?

 

  Le cooperative si definiscono imprese “sociali” in quanto la partecipazione a esse, dovrebbe garantire a tutti i suoi partecipanti una contribuzione non solo economica, ma un beneficio etico, il cui fine è un lavoro socialmente utile e la equa ripartizione delle opportunità del lavoro elastico e flessibile e del reinvestimento degli utili, con un superamento del conflitto e il coinvolgimento collettivo nella missione dell'impresa.

   La  costituzione di collocamenti privati di forza-lavoro (a fianco delle operazioni di smantellamento dello Stato “sociale”[4] quale la sanità, l'assistenza agli anziani, il recupero dei tossicodipendenti, la previdenza integrativa concessa alle assicurazioni private, tra cui anche l'UNIPOL[5] ) questo processo introduce servizi a pagamento e conduce a una forte deresponsabilizzazione delle funzioni pubbliche al di fuori del campo di controllo dell'amministrazione statale, in un'area privata fortemente esposta a orientamenti particolaristici e all'influenza dei partiti politici e del clientelismo.

   Questo depotenziamento del welfare state, non solo rappresenta un vantaggio economico per la pubblica amministrazione che espelle così forza-lavoro e offre opportunità ai vari soggetti economici privati (in Regione Lombardia cooperative si sono inserite a fornire i servizi di portineria, del centralino e dei servizi che svolgevano i commessi) ma fa ricadere sull'utenza dei servizi i costi supplementari dei servizi esternalizzati  e non  garantisce standard di qualità per le eventuali prestazioni insufficienti.

   La cosiddetta impresa “non profit” è per lo Stato uno strumento ideale per avviare i vari progetti di privatizzazione dei sevizi pubblici, alleggerire le imposizioni fiscali sui profitti d'impresa.

   Tutto questo è dentro un quadro, dove il capitalismo nella fase post fordista, ha introdotto nuove forme d'organizzazione del lavoro, ridimensionato fortemente le grossi aziende è utilizzato una nuova leva di forza lavoro più mobile e più duttile.

   Le cooperative di lavoro e le agenzie di lavoro interinale che forniscono lavoro temporaneo, sono dentro questo quadro di rottura della rigidità imposta dalla classe operaia, che vincolava le imprese con la sua presenza conflittuale.

   Le politiche concertative governo-padronato-sindacato confederale hanno a partire degli anni '90 introdotto hanno concorso alla frammentazione del proletariato in differenti tipologie di prestazioni di lavoro. 

   La nuova classe lavoratrice viene espulsa dai processi di produzione, delocalizzata sul territorio (appalti ad imprese terziste, telelavoro), distinta per via legislativa tra una varietà di contratti di lavoro coesistenti (esternalizzazioni, cooperative, appalto di manodopera, formazione lavoro, tempo determinato, part time, interinale, autonomo ecc), sottoposta a tempi e ritmi di lavoro variabili (flussi di produzione intermittenti, aumento della quantità delle ore), non garantita dalle pattuizioni contrattuali e dalle leggi in materia di lavoro (modelli organizzativi variabili, figure professionali multifunzionali, aumenti salariali differiti e/o ridotti unilateralmente, violazione delle norme sulla salute e sulla sicurezza ne luoghi di lavoro ecc.)

   In sostanza il ruolo delle cooperative, di queste cosiddette imprese  “sociali”, è quello di sottomettere alle esigenze del controllo del capitale ogni interstizio e segmento produttivo.

      

 

 

 

 

 

 



[1] 1. Il plusvalore relativo è il plusvalore che deriva dall'accorciamento del tempo di lavoro necessario e del corrispondente cambiamento nel rapporto di grandezza delle due parti costitutive della giornata lavorativa.

[2]2. L'intermediazione era fatta per conto del PCI, per via della sua politica di sostegno delle aziende capitaliste italiane “Più volte il compagno Pajetta ha insistito con il compagno Zhivkov perché la Bulgaria prenda in considerazione l'idea di approvvigionare il paese con i prodotti Fiat. Allo scopo propone la creazione di una società mista attraverso il movimento cooperativo” (incontro di G. Pajetta con il leader bulgaro Todor Zhivkov, 10 settembre 1977  - brano tratto dalla Stampa, 25 novembre 1991). In sostanza facevano i piazzisti di Agnelli. La cosa è confermata anche dai contatti amicali verificati dal compagno Dorigo tra il 2000 e il 2001, tra il comandante partigiano Franco Berlanda e Giovanni Agnelli. Franco Berlanda, architetto e militante del PCI, si era iscritto da giovane nel 1943, ed era (sino al cambiamento del nome della tessera del Pci in Pds, allorquando non si iscrisse più) un togliattiano convinto ed un convinto assertore della bontà della cosiddetta “destalinizzazione”. Fu poi un migliorista negli anni ’80, ma di seconda fila. I rapporti tra il “Gotha” del PCI torinese ed i grandi industriali rientravano in una logica politica di “progresso pacifico” che doveva impedire e svilire ogni tentativo di “vietnamizzazione” italiana (termine per loro spregiativo con cui si intendeva la possibilità di una guerra civile rivoluzionaria). Il compagno Dorigo conobbe il Franco Berlanda in ambito familiare dato che il Berlanda lavorava presso l’Università di Venezia ed aveva quindi conosciuto i suoi genitori, e gli chiese nel 2001 un aiuto di tipo legale mentre era in carcere, dato che le autorità carcerarie e giudiziarie gli vietavano di dare la propria tutela ad una compagna all’esterno. Venne così a trovarlo e gli portò, su sua richiesta, vecchi testi del marxismo-leninismo. In uno di questi testi, c’era il nome ed il numero di telefono di casa di Giovanni Agnelli.

[3] 3. Soci fondatori di Obiettivo Lavoro sono in primis le tre grandi filiere della cosiddetta economia “sociale”: Legacoop come si diceva prima,, Compagnia delle Opere (che raggruppa le imprese che fanno riferimento a CL), Confcooperative (cooperative cattoliche); insieme ad esse Cisl, Uil e numerosi altri soggetti tra i quali Confederazione Nazionale dell'Artigianato, Confesercenti, le Ascom di Confcommercio (le Acli si aggiungeranno poi nel 2000). Il primo presidente del consiglio di amministrazione è  stato Giuseppe Cova ex segretario della Federazione Nazionale dello Spettacolo CGIL.

[4] 4. Metto sociale tra virgolette, in quanto lo Stato borghese  avendo come classe dominante la borghesia appunto non può essere sociale. Le riforme in realtà sono un sottoprodotto della lotta rivoluzionaria del proletariato.

[5] 5. CGIL-CISL-UIL, sono presenti nell'UNIPOL, che “gestisce 16 mandati sui 43 fondi collettivi che risultavano autorizzati dalla Covip al 30 giugno dello scorso anno” (IlSole24ore, 09.01.2007).