da Guardare Avanti ! n.3 IIa serie
GRAMSCI E IL
CONCETTO DI EGEMONIA
di Marco Sacchi
Egemonia: storia di un concetto
Il termine egemonia deriva
dal greco antico, dal verbo eghestai, che significa: condurre, guidare. Nella
Grecia antica l'eghema era il comandante dell'esercito. Fra la fine del secolo
XIX° e il 1917, il termine gegemonya (egemonia) era stato una delle parole
d'ordine fondamentali del movimento operaio russo. Questo concetto comparve la
prima volta negli scritti di Plechanov del 1883-84, nei quali sosteneva la
necessità imperativa per la classe operaia russa di ingaggiare una lotta
politica contro lo zarismo e non soltanto una lotta economica contro il
padronato. Nel 1884 Plechanov aveva affermato che in Russia la borghesia era
ancora troppo debole per assumere l'iniziativa della lotta contro
l'assolutismo: dunque la classe operaia organizzata avrebbe dovuto farsi carico
delle esigenze della rivoluzione democratico borghese. Riferendosi al potere
politico in quanto tale, Plechanov[1]
faceva uso in questi scritti del termine generico <dominio> (gospodstvo),
e continuava a ritenere che il proletariato avrebbe dovuto appoggiare la
borghesia in una rivoluzione nella quale quest'ultima sarebbe necessariamente
emersa infine classe dirigente. A partire dal 1889, l'accento di sera spostato:
la <libertà politica> sarebbe stata <conquistata dalla classe operaia
o non sarebbe stata conquistata
affatto>. Il compagno di Plechanov, Axerold[2],
nel 1898, polemizzando contro l'economicismo[3]
dichiarò che la classe operaia russa avrebbe potuto e dovuto svolgere un ruolo
indipendente, nella lotta contro lo zarismo dal momento che l'impotenza
politica di tutte le altre classi conferiva un importanza centrale e preminente
alla classe operaia.
In seguito Lenin nel Che fare? Del
1902 arricchì questa problematica di un respiro e di una eloquenza nuovi.
Lo slogan dell'egemonia del proletariato
nella rivoluzione borghese diventò nel II° Congresso del P.O.S.D.R. nel 1903un'eredità politica dei bolscevichi
(e per un certo momento anche dei menscevichi). Infatti Lenin accusò ben presto
i menscevichi di aver abbandonato l'idea dell'egemonia del proletariato
accettando tacitamente la leadership delle borghesia russa nella rivoluzione
contro il zarismo. Il suo appello per una <dittatura democratica del
proletariato e dei contadini> nella rivoluzione russa del 1905 era stata fatta per dotare di una formula di
governo, il movimento operaio russo. Solo l'egemonia del proletariato farà sì
che la rivoluzione (con i suoi compiti democratici vista l'arretratezza della
realtà russa) possa avere il suo massimo sviluppo.
Ai menscevichi e a tutti quelli nel
movimento operaio russo conviti che dopo la rivoluzione del 1905 lo zarismo
avesse operato una transizione dallo Stato feudale a quello capitalistico, e
perciò la parola d'ordine dell'egemonia del proletariato era diventata
obsoleta, la risposta di Lenin fu recisa: “Predicare agli operai che a loro
occorre “non l'egemonia ma un partito di classe” significa tradire la causa del
proletariato, mettendola nelle mani dei liberali, significa predicare la
sostituzione della politica operaia
socialdemocratica con la politica operaia liberale. Ma la rinunzia
all'idea di egemonia è l'aspetto più grossolano del riformismo nella
socialdemocrazia russa” (Lenin, Opere Complete, vol. XVII, p. 215). E
ancora: “Dal punto di vista del marxismo una classe che neghi l'idea
dell'egemonia o che non la comprenda non è, o non è ancora, una classe, ma una
corporazione o una somma di diverse corporazioni. (...) E' proprio la
coscienza dell'idea dell'egemonia, è propria la sua incarnazione concreta a
trasformare, attraverso la sua attività, una somma di corporazioni (tsekhi) in
classe”, (Lenin, Opere Complete, Vol. XVII, pp47-48).
L'Internazionale
Comunista e il concetto di egemonia
Nei
dibattiti del movimento operaio russo prima della rivoluzione il termine
egemonia fu, dunque, una delle nozioni più largamente impiegate e comuni. Dopo
la rivoluzione questo termine fu in disuso nel partito bolscevico e non senza
motivo. Coniato per teorizzare il ruolo della classe operaia in una rivoluzione
borghese, venne reso inoperante dall'avvento di una rivoluzione socialista.
Se
in U.R.S.S. questo termine cessò si essere di attualità, l'Internazionale
Comunista nei primi due congressi mondiali[4]
adottò una serie di tesi che per la prima volta internazionalizzarono il
significato russo della parola d'ordine dell'egemonia. Nella lotta contro il
capitalismo il dovere del proletariato era di esercitare l'egemonia sugli altri
gruppi di sfruttati suoi alleati di classe, all'interno delle proprie
istituzioni soviettiste: qui “la sua egemonia permetterà ai semiproletari e ai
contadini poveri di elevarsi
progressivamente”[5]. Se avesse
fallito nel guidare le masse lavoratrici in tutti i campi dell'attività
sociale, limitandosi a perseguire particolari obiettivi economici, essa sarebbe
scivolato nel corporativismo. “Il
proletariato diviene rivoluzionario nella misura in cui non si rinserra negli
schemi di uno stretto corporativismo e nella misura in cui agisce in tutte le
manifestazioni e in tutti i settori della vita sociale come testa di tuta la
massa lavoratrice sfruttata. (...). Il proletariato industriale non
potrà iniziare la sua missione storica mondiale, che è l'emancipazione
dell'umanità dal giogo del capitalismo e delle guerre, se si chiude e si limita
a campagne e lotte tendenti al miglioramento della propria condizione, talvolta
molto soddisfacente, all'interno della società borghese”[6]
. Al IV° congresso dell'Internazionale Comunista (1922), il termine egemonia fu
esteso al domino della borghesia sul proletariato, nel caso in cui la prima
fosse riuscita a confinare quest'ultimo in un ruolo corporativo, inducendolo ad
accettare una divisione fra lotte politiche ed economiche. “La borghesia
ha sempre la tendenza a separare la politica dall'economia, comprendendo
perfettamente che, se essa riesce a incastrare la classe operaia in un quadro
corporativo, nessun pericolo serio minaccerà la sua egemonia”[7]
.
La trasmissione della nozione di egemonia a Gramsci a può essere localizzata in questi documenti dell'Internazionale Comunista. Egli, aveva una conoscenza profonda delle risoluzioni adottate dall'Internazionale Comunista in quanto era fra coloro che parteciparono al IV° congresso mondiale. Se ne possono vedere gli effetti nei Quaderni: perché il modo in cui Gramsci tratta l'idea di egemonia deriva direttamente dalle definizioni della Terza Internazionale.
Non
v'è dubbio che Gramsci partì da certe concezioni comuni del concetto, che egli
aveva desunto dalla elaborazione dell'Internazionale Comunista. Infatti il
termine è riferito nei suoi scritti all'alleanza di classe del proletariato con
altri gruppi di sfruttati, soprattuto i contadini, nella lotta comune contro il
capitalismo. Egli risentendo probabilmente dell'esperienza della NEP[8]
, estese la concezione di corporativismo dalla pura e semplice limitazione a
orizzonti di categoria o di lotte economiche a ogni tipo di isolazionismo
operaista dalle altre masse sfruttate. “Il fatto dell'egemonia presuppone
indubbiamente che sia tenuto conto degli interessi e delle tendenze dei gruppi
sui quali l'egemonia verrà esercitata, che si formi un certo equilibrio di
compromesso, che cioè il gruppo dirigente sappia dei sacrifizi di ordine
economico-corporativo, ma è anche indubbio che tali sacrifizi e tale
compromesso non possono riguardare l'essenziale, poiché se l'egemonia è
etico-politica, non può non essere anche economica, non può non avere il suo
fondamento nella funzione decisiva che il gruppo dirigente esercita nel nucleo
decisivo dell'attività economica”[9].
Allo stesso tempo Gramsci sottolinea l'ascendente culturale che deve esprimere
il proletariato deve sugli altri strati alleati: “Le egemonie germinate
precedentemente diventano “partito” , vengono a confronto ed entrano in lotta
fino a che una sola di esse o almeno una sola combinazione di esse, tende a
prevalere, a imporsi, a diffondersi si
tutta l'area sociale, determinando oltre che l'unicità dei fini economici
politici, anche l'unità intellettuale e morale, ponendo tutte le questioni
intorno a cui ferve la lotta non sul piano corporativo ma su un piano
“universale” e creando così l'egemonia di un gruppo sociale su una serie di
gruppi subordinati”[10].
Sviluppando
ulteriormente tale concetto teorico, Gramsci contrappose il necessario impiego
della violenza da parte del proletariato contro il comune nemico delle classi
sfruttate, con il ricorso al compromesso all'interno di queste classi: “Se
l'unione di due forze è necessaria per vincere una terza, il ricorso alle armi
e alla coercizione (dato che se ne abbia la disponibilità ) è pura ipotesi
metodica e l'unica possibilità concreta è il compromesso poiché la forza può
essere impiegata contro i nemici, non contro una parte di se stessi che si
vuole rapidamente assimilare e di cui
occorre la “buona volontà” e l'entusiasmo”[11].
Qui Gramsci stabilisce una certa distinzione tra egemonia del proletariato e
dittatura del proletariato, nel senso che l'egemonia fornisce la base sociale
alla dittatura del proletariato. Indubbiamente in questa distinzione tra
egemonia e dittatura, c'è una certa dose di “ambiguità”, determinata dal fatto
che Gramsci era nel carcere fascista e perciò sottoposto a un forte controllo e
censura, indi per cui non era certamente libero di esprimersi completamente e
per far passare certi concetti doveva usare termini che non dessero “sospetto”
ai censori. Ma su questa “ambiguità” della differenza tra egemonia e dittatura
i revisionisti (e Togliatti) ci giocarono pesantemente, contrapponendo i due
termini: la ricerca dell'egemonia come conquista graduale della società in
contrapposizione alla rottura rivoluzionaria. D'altra parte, Gramsci, quando
dice che non si deve impiegare violenza contro le altre classi sfruttate, sviluppa,
anticipando il pensiero maoista sulle contraddizioni, il concetto sulle
differenza che ci deve essere tra le contraddizioni tra noi e il nemico (che
sono antagoniste) e quelle che interne al popolo (che sono non antagoniste), e
che queste contraddizioni devono essere affrontate con mezzi diversi (non si
può impiegare violenza contro una parte di se stessi)[12].
Oggi qual'è la rilevanza di questo concetto,
in un paese imperialista? Una discussione su di esso solleva tutta una serie di
questioni quali: il collegamento che ci deve essere tra lotte politiche e lotte
economiche, gli elementi che si possono sviluppare per lo sviluppo del Nuovo
Potere (i consigli di fabbrica e tutti i vari organismi consigliari visti come
embrioni del futuro stato proletario). Ovviamente c' ne sono di argomenti da
sviluppare, ma credo l'attualizzazione del pensiero di Gramsci (nonché di Lenin
e di Mao) sta nel fatto di capire che rivoluzione proletaria è un fatto prima
di tutto politico, dove il compito principale dei comunisti non è tanto di
infliggere perdite al nemico, ma lavorare e lottare per realizzare l'unità
di tutte le masse sfruttate in vista della creazione di un nuovo potere operaio
e popolare e superare il divorzio fra lo sviluppo teorico del marxismo e la
classe operaia, in sostanza bisogna che l'elaborazione teorica dei problemi
politici di una strategia rivoluzionaria nei paesi imperialisti abbia
un'incidenza fra le masse.
[1]Plekhanov G. (1856-1918). Personalità del movimento operaio russo e internazionale. Lenin apprezzò le sue opere teoriche e il suo ruolo nella divulgazione del marxismo in Russia; nello stesso tempo lo criticò per le sue deviazioni dal marxismo e per le suoi errori nell'attività politica.
[2]Axerold P. (1850-1928). Socialdemocratico russo, dopo il II° Congresso del POSDR (1903), uno dei capi del menscevismo. Ostile alla Rivoluzione d'Ottobre; emigrò all'estero.
[3]Corrente opportunista in seno alla socialdemocrazia russa a cavallo de secoli XIX°-XX°. Gli economicisti volevano limitare gli obiettivi della classe operaia alla lotta economica, in quanto affermavano che la lotta politica era compito della borghesia. Gli economicisti sminuivano l'importanza della teoria rivoluzionaria, e si opponevano alla necessità di costituire un partito autonomo della classe operaia.
[4]1919 e 1920.
[5]I congresso dell'Internazionale comunista. Tesi, manifesti, risoluzioni, Savelli, Roma 1970, p. 75.
[6]II congresso dell'Internazionale comunista. Tesi, manifesti, risoluzioni, Savelli, Roma 1970, pp. 30, 75
[7]IV congresso dell'Internazionale comunista. Tesi, manifesti e risoluzioni, Savelli, Roma 1971, p. 55
[8]Nuova Politica Economica. Politica adottata dal Partito Comunista Russo (bolscevico) nel X° Congresso, dopo il periodo del “comunismo di guerra” caratterizzato dai prelevamenti e dalle forniture statali, a questi si sostituiva l'imposta in natura che avrebbe dovuto trasformarsi in imposta in denaro. La politica della NEP che ripristinava parzialmente l'iniziativa privata era necessaria per mantenere l'alleanza con i contadini, che era stata determinante per la vittoria della rivoluzione e della guerra civile.
[9]QC III, p. 1591
[10]QC III, p. 1584
[11]QC III, pp. 1612-3
1Plekhanov G. (1856-1918). Personalità del movimento
operaio russo e internazionale. Lenin apprezzò le sue opere teoriche e il suo
ruolo nella divulgazione del marxismo in Russia; nello stesso tempo lo criticò
per le sue deviazioni dal marxismo e per le suoi errori nell'attività politica.
2Axerold P. (1850-1928). Socialdemocratico russo, dopo il II° Congresso del POSDR (1903), uno dei capi del menscevismo. Ostile alla Rivoluzione d'Ottobre; emigrò all'estero.
3Corrente opportunista in seno alla socialdemocrazia russa a cavallo de secoli XIX°-XX°. Gli economicisti volevano limitare gli obiettivi della classe operaia alla lotta economica, in quanto affermavano che la lotta politica era compito della borghesia. Gli economicisti sminuivano l'importanza della teoria rivoluzionaria, e si opponevano alla necessità di costituire un partito autonomo della classe operaia.
41919
e 1920.
5I
congresso dell'Internazionale comunista. Tesi, manifesti, risoluzioni, Savelli,
Roma 1970, p. 75.
6II
congresso dell'Internazionale comunista. Tesi, manifesti, risoluzioni, Savelli,
Roma 1970, pp. 30, 75
7IV congresso dell'Internazionale comunista. Tesi, manifesti e risoluzioni, Savelli, Roma 1971, p. 55
8Nuova
Politica Economica. Politica adottata dal Partito Comunista Russo (bolscevico) nel X° Congresso, dopo il
periodo del “comunismo di guerra” caratterizzato dai prelevamenti e dalle
forniture statali, a questi si sostituiva l'imposta in natura che avrebbe
dovuto trasformarsi in imposta in denaro. La politica della NEP che
ripristinava parzialmente l'iniziativa privata era necessaria per mantenere
l'alleanza con i contadini, che era stata determinante per la vittoria della rivoluzione
e della guerra civile.
9QC III, p. 1591
10QC III, p. 1584
11QC III, pp. 1612-3
[12]Questa non comprensione della differenza tra contraddizioni tra noi e il nemico e quella interna al popolo, e dei differenti mezzi per affrontare queste contraddizioni, ha creato guasti e problemi all'interno del Movimento Comunista e nei paesi socialisti.